Una
civiltà chiamata
Transumanza |
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di
Natalino Paone
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Il termine, presente nelle lingue romanze, è entrato nel linguaggio scientifico alla fine del secolo scorso, ma ricorda un fenomeno millenario.
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Non sono molti i posti, neppure nell'Italia nascosta, dove la vacanza è ancora scoperta personale, fatto da raccontare. Nel Molise questo posto c'è e il fatto da raccontare è dato dai tratturi, autostrade d'erba che animarono nei secoli una civiltà chiamata transumanza. La
transumanza, presente in Spagna, Francia meridionale, Svizzera, Germania
meridionale, area dei Balcani e Italia, conobbe la sua affermazione
più originale in Abruzzo, Molise, Puglia, Campania e Basilicata.
In queste cinque regioni dell'Italia meridionale, quando in autunno
il primo freddo rendeva inospitale la montagna, greggi e addetti si
trasferivano nella pianura pugliese, per fare ritorno in primavera
ai monti, allorché era la pianura a farsi inospitale. Sicuramente la transumanza era tra le attività fondamentali
dei Sanniti, con esenzione da imposte sia sul bestiame che sui pascoli
e sulle strade di collegamento. Una donna sannita aveva sempre in
casa la conocchia per filare la lana e un telaio per tesserla e farne
tessuto. Gli uomini, oltre a alla cura delle greggi transumanti, si
impegnavano in varie attività, tra cui figuravano quelle degli
scambi commerciali, dei servizi di accoglienza e di trattenimento.
In questo senso una vera e propria stazione di servizio: essi la organizzarono già nel sec. IV
a.C. dove oggi sorge Altilia di Sepino, sulla via armentizia battuta
dalle greggi che si spostavano dall'Abruzzo all'Apulia (Puglia) e
viceversa; via in seguito chiamata tratturo Pescasseroli-Candela,
poi diventata la via consolare romana numicia (o minucia) oggi coincidente
in gran parte con una delle strade più importanti del Molise
col nome di SS 17. |
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