Categoria: Artisti
Nome: Sansovino
 
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Così, dal nome dato al suo maestro Andrea Contucci, detto anch'egli il Sansovino, è noto l'architetto e scultore italiano Jacopo Tatti (Firenze 1486 - Venezia 1570). Quindicenne andò a bottega presso Andrea Sansovino, ma oltre che sugli insegnamenti e sugli esempi di lui, si formò a contatto con l'ambiente artistico fiorentino di allora, poi con quello di Roma, dove soggiornò dal 1506 al 1511 , occupato a disegnare gli antichi monumenti e dando contemporaneamente inizio alla sua attività di scultore. Tornato in patria, scolpì un S. Giacomo e un Bacco (Bargello), opera, questa, equilibrata e felice che, per la predominanza dei valori pittorici su quelli più propriamente plastici, rimane una delle più sincere testimonianze della personalità dell'artista. Vinto da Michelangelo nel concorso per la facciata di S. Lorenzo, Jacopo lasciò Firenze per Roma (1518), dove scolpì il S. Giacomo (S. Maria di Monserrato), la Madonna del Parto (S. Agostino) e altre opere, tentando, non sempre con successo, di adeguarsi alle forme grandiosamente classiche apprese sull'esempio di Michelangelo. A Roma ebbe inizio anche la sua attività di architetto ; in quella città, infatti, egli progettò la chiesa di S. Marcello e di S. Giovanni dei Fiorentini (iter 9) (eseguite o completate da altri), il palazzo Nicolini-Arici (già Gaddi) in Borgo Santo Spirito e il palazzo per Giuliano de' Medici (ora Palazzo Lante) ; è anzi proprio da questa attività, nella quale il Sansovino intrecciò la propria opera a quella dei maestri bramanteschi allora operosi a Roma, come il Peruzzi e Raffaello, che bisogna partire per capire l'ulteriore evoluzione del suo stile architettonico. Questo si esplicò nella sua pienezza dopo che il S. , per sfuggire al sacco di Roma (1527), si fu trasferito a Venezia. Dall'atmosfera della città lagunare ed alla sua tradizione artistica fondata sul colore, il S. trasse alimento per superare la serena e scandita spazialità bramantesca delle sue fabbriche romane e per sviluppare in architettura quelle tendenze pittoriche che, in parte, erano già apparse nella sua precedente produzione scultorea. A Venezia, infatti, egli riuscì ad inserire felicemente nell'ambiente lagunare il classicismo delle forme del Cinquecento tosco-romano mediante il gioco chiaroscurale degli oggetti e delle modanature, lo spirito pittorico dei bassorilievi e degli ornati, il predominio dei vuoti sui pieni, l'ariosità dei loggiati. La sua attività a Venezia fu intensissima: completò le Procuratie Vecchie, iniziò la Zecca, eseguì la Scuola Grande della Misericordia (purtroppo non finita), la Loggetta di S. Marco (che decorò con statue e rilievi, ponendo all'interno il mirabile gruppo in terracotta della Madonna col Bambino e San Giovannino ), lavorò alle fabbriche nuove di Rialto, nelle chiese di S. Francesco della Vegna e di S. Giuliano, quale Proto di S. Marco riconsolidò la struttura della Basilica, progettò la Scala d'Oro in Palazzo Ducale e costruì la Villa Garzoni a Ponte Casale. Suoi capolavori veneziani sono però il Palazzo Corner (1532) e la Libreria (1537), nei quali trova pieno compimento la sua evoluzione da una visione architettonica plastica, eppur movimentata dalla luce, ad una visione puramente luministica che subordina le masse agli effetti della luce e del chiaroscuro. Un simile processo di smaterializzazione si rivela anche nella sua ultima opera scultorea, e cioè nella porta in bronzo della Sacrestia di S. Marco, con la Resurrezione e la Deposizione (fuse 1562-63), in cui si rintracciano echi di Donatello e di Ghiberti. Alla sua tarda attività appartengono ancora il ritratto di Tommaso Rangone nella facciata di S. Giuliano, il S. Giovanni Battista ai Frari, ecc. Amico di Tiziano e dell'Aretino, il S. ebbe una funzione di primo piano nell'ambiente artistico di Venezia; tra gli scultori furono suoi seguaci il Vittoria, Gerolamo Campagna e altri; fra gli architetti, guardarono alle sue opere lo Scamozzi e, più tardi, il Longhena.

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